A 10 anni perde la madre e dopo appena 2 mesi il padre: rimanendo orfano non
può fare altro che andare a vivere con la sorella più grande, Anna Maria,
sposata e disposta ad accoglierlo in casa propria.
Ma il rapporto con il cognato è tutt'altro che idilliaco: i modi bruschi e
spesso violenti sono all'ordine del giorno e Salvatore, costretto a custodire il
gregge, medita di partire lontano, sperando in un avvenire più sereno.
Ma a dargli speranza ci pensa il fratello maggiore Antonio: la sua vita non
era stata granché fortunata, avendo visto morire il padre vero, il patrigno e
la madre che, vedova e con lui a carico, sposò Giuseppe. Antonio aveva per il
più piccolo della sua famiglia un occhio di riguardo e, certo, mal digeriva che
Salvatore venisse trattato male. Per questo gli promise di prenderlo in casa con
sé non appena avesse potuto, ossia una volta sposato ed affrancato dalla
condizione di servo pastore per passare a quella di pastore, proprietario di
bestiame proprio e, quindi, con possibilità economiche decisamente migliori.
Questa prospettiva non sembrava tanto lontana ed il pensiero di poter cambiare
casa e datore di lavoro faceva sopportare a Salvatore tutti i maltrattamenti
subiti. Dopo circa due anni le condizioni si verificarono: Antonio acquistò il
proprio gregge, prese moglie e mise su casa.
Erano giorni allegri per Salvatore, finalmente poteva sentirsi trattato da
essere umano, come i suoi genitori sempre avevano fatto, ma ancora una volta un
lutto scosse la sua vita, riducendo in fumo tutte le speranze coltivate per due
anni ed ormai così vicine. Antonio, dopo appena 20 giorni di matrimonio, muore,
lasciando increduli tutti, dalla giovane moglie al piccolo fratello cui tanto
teneva.
Salvatore non può più sperare in un futuro migliore e decide di partire. A
soli 12 anni abbandona il suo paese, i suoi amici, i suoi parenti e riesce a
trovare lavoro, ancora come servo pastore, ad Ozieri. Qui viene accolto dalla
famiglia del datore come se fosse un figlio: con loro vive e da loro viene
trattato con ogni riguardo.
Sino ai 26 anni rimarrà alle dipendenze della sua seconda famiglia, ma non si
limiterà a custodire il gregge: durante il tempo trascorso in campagna, quando l'unica
cosa da fare è verificare che niente e nessuno turbi la tranquillità delle
pecore al pascolo, legge tutto ciò che riesce a trovare: libri, giornali e la
Bibbia vengono divorati dalla sua mente affamata di cultura e conoscenza, e
tutto è per lui fonte di ispirazione. È guardando le pecore che compone poesie
incredibili, meravigliose, perfette metricamente, capaci di toccare il cuore
negli angoli più nascosti, ed è nei campi di Ozieri che scrive la sua
autobiografia, rigorosamente in sardo ed in rima e da lui stesso intitolata
"Purzione de sa vida", ossia Parte della vita. La
composizione richiede ben 3 anni, durante i quali riporta alla mente i giorni di
gioia e serenità ma anche quelli tristi, i lutti e gli eventi eccezionali che
attraversarono la sua esistenza di bambino, costretto a vivere una vita da
adulto suo malgrado.
Oltre alla biografia, tra le pagine più belle figurano la poesia scritta per
dichiararsi alla futura moglie Giuseppa Congiu, 3 anni più grande di lui.
Ancora oggi non è certo consueto incontrare coppie dove lo sposo è più giovane
della sposa, e men che meno lo era nel 1936, anno nel quale si celebrarono le
nozze.
Salvatore aveva la sua famiglia, il suo bestiame, costituito principalmente
da capi bovini, la sua casa e due figli: Giuseppe, nato nel 1938, e Angelina,
nata 3 anni più tardi.
E tutti vissero felici e contenti?
Purtroppo no, perchè nel 1946 scoppiò una strana epidemia che falcidiò tutte
le mucche dell'allevamento, distruggendo ogni fonte di sostentamento ed un
intero capitale. Salvatore non poté fare altro che partire in cerca di lavoro e
lo trovò, ancora come servo pastore, a Bonorva, dove si trattenne 4 anni.
Riuscì a rientrare a Lodine grazie all'apertura di alcuni cantieri stradali,
dove venne assunto, ma mai più fece l'allevatore.
La vita trascorre quasi
serena fino al 18 aprile 1977, giorno in cui morì la moglie Giuseppa. Salvatore
rimasto solo si rassegnò a passare la sua vita un po' a Lodine, a casa del
figlio Giuseppe, un po' ad Alghero, a casa della figlia Angelina. Ma ancora il
destino gli sta per sferrare un altro duro colpo: nel 1978 Giuseppe si ammalò
di tumore; furono anni di grande angoscia per la sorte dell'amato figlio,
Salvatore spera in un miracolo, ma la speranza svanì il 10
novembre
del 1981, quando Giuseppe -dopo cinque giorni di coma, a soli 43 anni-
muore,
lasciando tutti nel dolore più totale, in primo luogo la giovane moglie e i tre
piccoli figli.
Questa volta Salvatore
non riesce a superare il dolore, la pena è troppo
grande,
una spada gli ha trapassato il cuore, e il suo cuore che tante ne ha
sopportato
adesso, non ce la fa e decide di arrendersi .
Salvatore Marceddu muore a
Sassari, stroncato da un infarto, il 13 ottobre del 1982, aveva 74 anni.
Il suo corpo ora riposa nel
cimitero di Lodine vicino a quello della sua
amata Giuseppa e del suo adorato figlio.